La guerra in Siria dilaga: è il tempo degli eserciti
di Luciano Tirinnanzi
La Siria è in fiamme. Nel quadrante nord-orientale a metà marzo le truppe turche, nell’ambito dell’operazione militare “Ramoscello d’Ulivo”, hanno preso il controllo della roccaforte curda di Afrin e adesso si apprestano a entrare a Manbij, dove sono stanziati circa 2mila soldati americani al fianco delle milizie arabo-curde delle SDF (Syrian Democratic Forces).
Contemporaneamente, l’esercito siriano del presidente Bashar Al Assad, forte del sostegno aereo dei caccia russi e di milizie coordinate dalla Guardia Rivoluzionaria iraniana, ha annichilito le ultime sacche di resistenza ribelli annidate nella Ghouta Orientale.
Resta guardingo Israele. Con una serie di chirurgici raid aerei la sua aviazione ha distrutto numerose postazioni della contraerea siriana e depositi di armi che Damasco condivide con i Pasdaran e con l’alleato libanese Hezbollah. In una delle più recenti sortite, a inizio aprile, è stata bombardata la base aerea militare siriana di Tiyas nella provincia di Homs, dove è stato distrutto un hangar in cui erano custoditi droni militari iraniani.
A completare il quadro, nella notte tra il 13 e 14 aprile, l’attacco missilistico congiunto di USA, Regno Unito e Francia in diversi punti tra Damasco e Homs contro postazioni militari siriane e centri di ricerca sospettati di aver sviluppato armi chimiche e biologiche, le stesse che a detta di Washington Assad avrebbe usato sui civili per stanare gli ultimi ribelli trincerati a Douma.
La Siria, insomma, dopo il collasso del Califfato sta conoscendo un’evoluzione del conflitto, dove agli eserciti raccogliticci di mercenari, jihadisti e foreign fighters, ora si vanno sostituendo direttamente gli eserciti regolari. Da tempo, i cieli siriani sono solcati quotidianamente dai caccia della coalizione internazionale, così come da elicotteri russi e da bombardieri di diverse bandiere. Decine ne sono caduti, e altri seguiranno.